Una pavimentazione stradale capace di demolire, in un anno, il 19% di ossido di azoto presente nell’atmosfera: è tutto vero ed è stato sperimentato in Olanda. Vediamo insieme di cosa si tratta.
I ricercatori dell’Università di Eindhoven, in Olanda, hanno sperimentato una particolare soluzione, volta alla riduzione dell’inquinamento atmosferico delle città. Hanno ricoperto l’asfalto di un isolato di Hengelo con uno speciale rivestimento in biossido di titanio (TiO2). Una sottile polvere cristallina che, utilizzando come catalizzatore la luce solare, è capace di convertire alcuni agenti inquinanti, come il monossido e il biossido di azoto, in sostanze meno pericolose come i nitrati.
Nello specifico, il biossido di titanio, con l’azione dei raggi UV del sole provoca le reazioni di trasformazione dei gas inquinanti in sali.
Trascorso un anno, i ricercatori hanno effettuato delle misurazioni per comprendere se e quanto, in quel lasso di tempo, i livelli di inquinanti presenti nell’atmosfera dell’isolato di Hengelo si fossero differenziati da quelli di zone adiacenti.
Secondo i dati statistici raccolti, è risultato che l’inquinamento dell’area rivestita dall’asfalto di biossido di titanio è diminuito in media del 19%. Il processo, però, lavora per fotocatalisi ed è quindi fortemente condizionato dalle condizioni metereologiche. Durante le giornate soleggiate, infatti, si possono raggiungere riduzioni complessive del 45%.
La scoperta è stata pubblicata sul Journal of Hazardous Materials e si pensa che possa aprire la strada a nuove sperimentazioni, volte all’abbattimento dei costi di questo particolare tipo di asfalto.
Saranno proprio i costi elevati del trattamento ad aver bloccato l’Italia nello sviluppare e perfezionare questo tipo di tecnologia?
Secondo quanto si legge su Repubblica, infatti, i pionieri di questa invenzione non sarebbero gli olandesi, bensì gli italiani.
Nel 2002, la Global Engeneering, un’azienda lombarda, avrebbe brevettato un simile asfalto “mangia smog”: degli ecorivestimenti in ossido di titanio funzionanti per fotocatalisi, che si attivavano quindi grazie all’azione combinata di luce e aria, decomponendo monossodi di carbonio e affini in agenti innocui, come sali minerali e calcare.
Ancora, si legge su Il Giornale, in un articolo del 2011, la Sea aveva messo a punto, 2 anni fa, un progetto pilota che interessava l’area degli arrivi al Terminal 1 di Malpensa: 18mila metri quadrati di pavimentazione stradale trattati con il Coverlite, sostanza con caratteristiche anticatalitiche antismog.
A quel tempo, anche le nostre sperimentazioni avevano avuto dei risultati importanti, almeno secondo quanto si può evincere dalle parole di Mauro Bacchi, direttore tecnico dell’Impresa Bacchi : “Il trattamento foto catalitico, nel filone importante della ricerca, si dimostra una soluzione vincente nel combattere l’inquinamento. Nessun provvedimento adottato dalle autorità competenti è in grado di ottenere questi risultati. E soprattutto il Coverlite è attivo immediatamente con un’efficacia duratura nel tempo. Un risultato mai ottenuto prima in Italia”.
Ma allora, che fine hanno fatto questi progetti?